Gianni Segatta
Paesaggio impossibile V, 2017
Gianni Segatta (Trento, 10 giugno 1954) a 17 anni voleva diventare artista. Nei primi anni ’70 aveva frequentato il gruppo degli artisti concettuali di Sesto San Giovanni, in cui erano confluiti Hidetoshi Nagasawa (che era arrivato in Italia, dal Giappone, in bicicletta) e il grande Bruno Munari (amo ricordare, qui, la sua vicinanza a Gianni Rodari). In questo ambiente Gianni, giovanissimo, usava fondere impronte, segni e forme giocando e divertendosi con la macchina fotocopiatrice. Poi i viaggi in Spagna, in Francia, a raccogliere materiali di recupero da ricombinare, sovrapporre, trasformare alchemicamente in materiali d’altro tipo. La tradizione manifatturiera della sua terra, quelle montagne trentine dove il sapere della mano nel forgiare il legno e i pellami si tramandava di generazione in generazione, diveniva rapidamente la professione di una vita: pellami ricercati e trattati in maniera originale. Accadeva poi, di lì a poco, che il destino di Gianni s’intrecciasse con la Cina, negli anni in cui erano principalmente diplomatici, sinologi e intellettuali ad approcciarla. L’artista-artigiano-alchimista poteva offrire ai cinesi l’antica, italica sapienza che sancisce il legame mano-materia-gusto, negli interlocutori privilegiando poi figure di spicco del mondo imprenditoriale di oggi. Ma è la stessa Cina a offrirgli quel complemento ideale alla trasmutazione di materie che è rappresentato dal segno puro, calligrafico, apparentemente rapido ma legato a pratiche antiche che mirano a far consuonare il corpo con i ritmi della natura, della vita, del cosmo. Fino a giungere all’esperienza estrema del vuoto, del silenzio.